ARMI E VIOLENZA DOMESTICA

Grazie alle varie campagne mediatiche e agli interventi di prevenzione che si sono succeduti negli anni è sempre più comune l’emersione del  fenomeno della violenza familiare.

Capita di frequente che le vittime di violenza domestica si rivolgono al medico di base, al personale sanitario del Pronto Soccorso, agli insegnanti e agli educatori dei figli, per chiedere aiuto o consiglio o solo per sfogarsi.

Da qui la grande responsabilità di chi riceve la notizia. Cosa devo fare? E’ la domanda che spesso mi sento dire come avvocato da chi mi contatta perché ha saputo di violenze. 

Ancor più urgente e pressante sono le richieste di un consiglio quando vengono a sapere che le presunte violenze si consumano  in un contesto domestico  dove sono custodite delle armi.

E’ sufficiente una segnalazione alla Questura e, nella maggior parte dei casi, in via cautelativa e preventiva le armi vengono sequestrate. Vediamo di capire meglio la ragione di tali provvedimenti che possono sembrare drastici e i presupposti per la loro emissione. 

Con la sentenza del 21 dicembre 2017, il TAR Lazio ha fornito alcune interessanti precisazioni in tema di revoca del porto d’armi (sentenza n. 12582 del 21.12.2017).

Protagonista del caso sottoposto all’esame del TAR Lazio era un cacciatore che aveva impugnato i provvedimenti con cui la Questura di Roma gli aveva revocato il porto d’armi (relativo ad un fucile ad uso caccia) e la Prefettura gli aveva vietato di “detenere armi, munizioni e materiale esplodente”.

La Questura aveva motivato il proprio provvedimento dichiarando che il soggetto in questione, in diverse occasioni, aveva manifestato “comportamenti aggressivi e minacciosi nei confronti dei genitori arrivando in alcune occasioni anche allo scontro fisico”.

Ritenendo la decisione ingiusta, il detentore del porto d’armi aveva deciso di rivolgersi al TAR, nella speranza di ottenere l’annullamento dei provvedimenti emessi nei suoi confronti.

Il TAR rigettava l’impugnazione e confermava la legittimità dei provvedimenti adottati nei suoi confronti.

Precisava il TAR, in proposito, che il potere riconosciuto all’Amministrazione in materia di armi (art. 11 T.U.L.P.S.), è caratterizzato da “elevata discrezionalità, in considerazione dei rischi di commissione di illeciti connessi al possesso delle stesse”.

La revoca del porto d’armi e il divieto di detenere armi e munizioni, secondo il TAR, non richiedeva “un oggettivo ed accertato abuso delle armi, essendo sufficiente che il soggetto non dia affidamento di non abusarne, sulla base del prudente apprezzamento di tutte le circostanze di fatto rilevanti nella concreta fattispecie da parte dell'Autorità amministrativa”.

Trattasi di un giudizio “prognostico”, che può basarsi anche solo su elementi indiziari, “stante il potenziale pericolo per la sicurezza pubblica rappresentato dalla possibilità di utilizzo delle armi possedute”.

Il TAR , nel caso in esame, riteneva che, dagli accertamenti effettuati dalla Questura e dalla Prefettura, era emersa la “la sussistenza di una situazione familiare particolarmente conflittuale – in particolare tra il ricorrente ed il padre”, degenerata in “comportamenti aggressivi e minacciosi”, e “allo scontro fisico”.

Questura e  Prefettura, secondo il TAR; avevano del tutto correttamente, ritenuto che non sussistessero, in capo al ricorrente, le condizioni per il mantenimento del porto d’armi.

Anche il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3010 del 22 ottobre 2003, aveva affermato che “anche un comportamento non penalmente sanzionabile può costituire espressione di una capacità di abuso dell'arma.

Per concludere è consigliabile quando si abbia il solo sospetto di situazioni di pericolo di allertare immediatamente gli organi di polizia che possono procedere con un intervento preventivo.

Avv. Armando Cecatiello